VISITA ROTARY ALLA MOSTRA “PIERO DELLA FRANCESCA”

Dopo un aperitivo sotto il grande pannello con il disegno del volto tratto da una pagina di uno dei testi di Piero si è potuto visitare con Luigi Grasselli e Silvia Cavalchi la splendida mostra su Piero della Francesca organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani.
Una mostra estremamente colta dove si vede il grande lavoro dei curatori, la grande ricerca e lo sforzo fatto per offrire un vero approfondimento sul tema caro alla Fondazione e cioè il rapporto spesso poco studiato e conosciuto che lega l’arte e la scienza. E questo non è certo poco nel desolante panorama di mostre sempre più culturalmente vuote, senza un minimo di ricerca e studio, spesso solo basate su un nome di richiamo che altro non è che uno specchietto per le allodole. Il tema è però anche difficile e la mostra rimane un’ offerta preziosa per un pubblico di nicchia che ci si augura sappia distinguere e scegliere consapevolmente le tante, troppe offerte che vengono contemporaneamente programmate.

Si è iniziato dal piano terreno dove in due sale per la prima volta è esposto l’intero corpus grafico e teorico del grande maestro di Sansepolcro, uno dei massimi del Rinascimento italiano. Nella prima sala, sotto lo sguardo severo di San Ludovico da Tolosa, unica opera pittorica di Piero presente in mostra, sono radunati i sette esemplari del De Prospectiva Pingendi, il trattato che riunisce le intuizioni e gli insegnamenti relativi alla prospettiva e che si può dire furono l’inizio della grande innovazione della pittura del Rinascimento.
Le sette copie, alcune in latino ed altre in volgare, oltre ai testi contengono molti disegni di geometria ed è indubbio che costituiscono la base del nuovo modo di fare pittura.

Non più i fondi piatti arricchiti dall’oro ma gli splendidi paesaggi che al di là delle sontuose architetture che inquadrano i personaggi o le scene rappresentate dall’artista ci mostrano scorci delle campagne umbre, marchigiane, venete o lombarde. La fuga delle colonne, le trabeazione arricchite dai sontuosi capitelli, gli elaborati pavimenti dai perfetti disegni geometrici ( come quello riprodotto nell’atrio e desunto dalla Flagellazione di San Sepolcro ), i piccoli tempietti desunti dal mondo classico diventano dei protagonisti comprimari nei grandi capolavori che ci offrono Piero, Leonardo, Raffaello, Perugino e le centinaia di altri grandi artisti che operano in quello straordinario periodo tra quatto e cinquecento.

Sempre nella prima sala il modesto presunto ritratto di Piero fatto da Santi di Tito ci mostra un giovane elegante, sicuramente di buona famiglia, attorniato dai simboli del suo sapere e della sua arte (i libri, il compasso e il calamaio). L’autore del ritratto ci vuole forse dire che Piero è stato colui che ha contribuito in maniera determinante alla diffusione della geometria e della matematica oltre che essere stato un protagonista della nuova arte? Forse sì ma comunque non possiamo che credergli perché così è stato.

Nella seconda sala, accanto ad alcuni strumenti tecnici dalle collezioni medicee e ad altri importanti testi e codici, sono esposti gli altri libri di Piero, i due Codici d’Abaco, L’Archimede e il Libellus De Quinque Corporiribus Regularibus. Libri importantissimi, preziosi, affascinanti ma difficili da capire nel loro intrinseco valore e comunque non certo portatori di sensazioni ed emozioni.

Saliamo al piano di sopra e la seconda sala ci mostra alcuni dei capolavori della mostra: la splendida formella bronzea di Francesco Di Giorgio Martini dalla Galleria Nazionale di Perugia con la flagellazione di Cristo in cui i corpi sembrano quasi uscire dal piano e protendersi verso lo spettatore o la straordinaria predella del Polittico Griffoni dei Musei Vaticani dipinta da Ercole De Roberti e Francesco del Cossa. La predella rappresenta il miracolo di San Vincenzo Ferrer con la moltitudine dei personaggi che si muove dentro e fuori prospettive immaginarie che ci riportano alle città ideali del Rinascimento, fra ruderi di costruzioni d’invenzione, templi, nicchie e una strana architettura dalla forma elicoidale che ci riporta col pensiero a Piranesi o addirittura ad Escher.
E ancora accanto a queste due straordinarie opere i magnifici piatti policromi di Xanto Avelli, forse il più importante pittore di ceramiche di tutti i tempi. Anche qui una moltitudine di personaggi si muove all’interno di architetture fantastiche. Nella sala successiva si ha la ricostruzione dei cinque solidi regolari inscritti nella sfera che ci riportano alle descrizioni dei solidi regolari di Platone fatte da Luca Pacioli (che per i disegni chiese aiuto nientemeno che a Leonardo) e che è qui ritratto in una tela di fantasia dipinta nell’800. Il concetto che qui si vuole evidenziare, e che i personaggi del cinquecento già cercavano di insegnare, è che ci può essere, anzi che ci deve essere, un mondo in armonia tra uomo e natura, che le forme che si trovano in natura possono generare un mondo regolare ed armonioso. Ma è forse una mania ricorrente per i grandi artisti? Sembra di sì. Chi vuole approfondire il tema può guardare a tal Michelangelo Pistoletto ed al suo Terzo Paradiso.

Continuando con il percorso della nostra mostra eccoci nella sala che espone le splendide tarsie lignee e che sicuramente è fra quelle di più facile lettura. Si inizia con le due grandi vedute di Lucca di Ambrogio e Nicolao Pucci dal Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca, seguono gli insoliti solidi geometrici di Guido di Filippo da Serravalle di collezione privata di Firenze e ancora le grandi vedute urbane di Cristoforo Canozi da Lendinara sempre da Lucca anche se di proprietà del Museo Thyssen Bornemisza e ancora tanti altri. E’ un insieme veramente stupendo ed emozionante di paesaggi metafisici, rarefatti, privi di vita vissuta, così distanti dalle coeve tele popolate di personaggi. Piazze dechirichiane, architetture piranesiane dove solo uno spaurito merlo, che più probabilmente è uno storno, ammira incredulo un orizzonte vuoto. E che dire dell’altro essere vivente, sempre alato, che sembrerebbe essere un martin pescatore e che è decisamente fuori posto.

Nella sala successiva la riproduzione della città ideale di Urbino, il massimo fra le rappresentazioni idealizzate di luoghi senza esseri umani. Peccato la mancanza dell’originale che sappiamo quanto gli organizzatori abbiano voluto e cercato di avere. Purtroppo era intrasportabile.

Si continua con una sala dedicata a superbi disegni d’architettura dove oltre al foglio di Michelangelo, importante più per il nome che per se stesso, spiccano le due raffinatissime tempere dai colori pastello di Sebastiano Serlio e Pierantonio di Niccolò di Pocciolo dove le architetture o sono le uniche protagoniste del quadro o sono comunque preponderanti sulle figure. Dopo la sala con gli studi sulle trasformazioni del corpo umano, e dopo aver incontrato il bellissimo disegno di Giovanni Bellini che rappresenta una testa d’uomo di scorcio ricca di pathos e decisamente enigmatica si conclude con la sala dove le anamorfosi di Erhard Schon, fatte a Norinberga sul finire del XV secolo, non possono che riportarci ancora una volta ad Escher.

In due parole: una mostra difficile, sicuramente non da grande pubblico ma splendida.

LORENZO FERRETTI GARSI